Riflessione sulle politiche coronavirus

Riflessione sulle politiche Coronavirus

di Giovanni Macrì, Sindaco di Tropea

29 marzo alle ore 14:31 · 

 

Da quando è scattata l’emergenza COVID-19 non manca giorno in cui non mi interroghi sulla bontà e sull’efficacia dei piani di azione adottati dai Paesi di tutto il pianeta rispetto alla pandemia.

La mia riflessione, che non vuole essere una presa di posizione, deriva dall’analisi di due fattori: globalizzazione e sostenibilità finanziaria delle misure draconiane di contenimento e di prevenzione messe in atto.

Ebbene, nel villaggio globale del pianeta terra, è verosimile che le risposte a macchia di leopardo e disarmoniche, ad oggi messe in atto da vari governi, si potrebbero rilevare, a breve (qualche mese), degli enormi fallimenti che potremmo pagare ad altissimo prezzo se non si verificherà un autentico miracolo (tale potrebbe essere la scoperta di un farmaco o di un vaccino immediatamente somministrabili ed efficaci). Effettivamente, di fronte ad una pandemia, la risposta sanitaria avrebbe dovuto essere planetaria ed invece abbiamo assistito ed assistiamo ad azioni prive di un filo conduttore e spesso scoordinate anche all’interno dei singoli Paesi. Emblematico e sconcertante lo spettacolo indecoroso offerto dall’Unione Europa che, anche in questa gravissima contingenza, ha dimostrato tutta la propria inadeguatezza ed inutilità politica, non avendo avuto la capacità di adottare ed imporre agli Stati membri una strategia comune, e altresì una miopia sconfinata nel più bieco egoismo evidentemente incompatibile con lo spirito che dovrebbe animare l’Europa.

Gli esiti della divergenza sono ovvi: se un qualsiasi Stato, grazie al ricorso a rigorose politiche di prevenzione, contiene la pandemia mentre gli altri, invece, non fanno altrettanto, avremmo, nel breve periodo, un miglioramento della situazione all’interno dei confini del primo che, tuttavia, nel medio periodo, verrebbe probabilmente vanificato dalle politiche non altrettanto determinate adottate dagli altri. Il virus, sconfitto o contenuto da una Paese dentro casa propria e mandato via dalla porta principale, rientrerebbe dalle mille finestre aperte a meno di non chiudersi totalmente in se stessi per un periodo di tempo ad oggi indeterminabile tenuto conto del mistero che avvolge questo nemico invisibile. Quanto sta avvenendo in questi giorni in Cina dimostra plasticamente come le azioni oltremodo incisive messe in campo e i risultati lusinghieri ottenuti, in un periodo di tempo tutto sommato contenuto, siano stati compromessi non appena si è accennato ad un timido ritorno alla normalità.

Tali criticità, circa l’efficacia di piani di azione tra loro scoordinati, di poi, devono fare i conti o, per meglio dire, superare uno stress test molto più impegnativo che è quello della sostenibilità economica, quindi, sociale, per ogni Paese, di pacchetti di azioni così draconiane. Non saprei dire quanti Stati possono dirsi capaci di fronteggiare e sostenere finanziariamente per mesi (non è dato sapere quanti) azioni che determinano un blocco pressoché totale della propria economia. Il quadro globale attuale vede l’aspetto sanitario prevalere su tutti gli altri nel nome del consolidato ed indiscusso principio “la salute prima di tutto”. Nessuno mai oserebbe mettere in discussione questo postulato a meno di non voler correre il rischio di apparire cinico e di diventare molto impopolare. Qualcuno lo ha fatto ed è dovuto tornare frettolosamente sui propri passi anche perchè, questa almeno è la mia impressione, oltre ad essere contro tendenza ed isolato, veniva sconfessato da una narrazione planetaria talmente cruda e drammatica da incutere nei propri concittadini un terrore che, sconfinando nell’isteria, non era governabile.

Il mio pensiero è che quello che può apparire come un dogma, “la salute prima di tutto”, non possa prescindere dalla realtà economica di ogni singola nazione. In altri termini – e noi del Sud Italia lo sappiamo molto bene – esiste un’intima correlazione tra salute e condizione economica. C’è chi può permettersi le migliori cure e, magari, emigrare nelle strutture sanitarie più esclusive, e chi si deve accontentare di quello che offre, sia dal punto di vista della tempistica che della qualità, la sanità pubblica del proprio territorio per l’ovvia e triste ragione che non può permettersi altre soluzioni. La salute prima di tutto è, dunque, una bella dichiarazione di principio che si schianta con la cruda realtà. Lo Stato garantisce a tutti l’accesso alle cure sanitarie ma la qualità e la tempestività delle stesse, quindi le possibilità di gestire e di superare bene una malattia, sono intimamente correlate al fattore economico.

La domanda che mi pongo è: l’Italia, in questa contingenza, è, e per quanto tempo, capace finanziariamente di sostenere questo dogma attraverso il progetto messo in atto?

Ritengo che nella gestione dell’emergenza sia mancata (oppure c’è ma per motivi evidenti non viene detto nulla) una cabina di regia che abbia accuratamente ponderato i due valori in gioco, per stabilire fino a che punto e per quanto tempo il sistema Italia possa permettersi di comprimere l’economia in nome della sicurezza sanitaria e della salute del proprio gregge.
In realtà, penso che questa ovvia ed imprescindibile operazione di pesatura sia stata effettuata più volte è che, però, non si sia avuto il coraggio e la forza politica di rappresentare le cose in tutta la loro drammaticità e si stia giocando d’azzardo scommettendo su variabili oltremodo aleatorie quali una tempestiva scoperta scientifica capace di debellare il nemico o un nebuloso piano Marschall 2020 che, purtroppo, non è dato sapere da chi e come verrebbe garantito.

In ragione di queste considerazioni valuto che l’azione e l’approccio del governo all’emergenza potrebbero, forse, essere rischiosi perché non tengono conto di un dopo che tutti gli indicatori svelano come non troppo lontano. Tanti leader lo hanno predetto in diverse salse ed oggi anche il Santo Pontefice lancia un preoccupato monito su quello che potrebbe investirci se non si correrà tempestivamente ai ripari.

Questo scenario che, fortunatamente, ancora non è percepito da una larghissima fetta delle popolazioni colpite (molti pensano di essere indenni grazie all’assistenza, agli ammortizzatori sociali e ai privilegi di cui godono) è impensabile che non sia stato colto e ponderato dai leader mondiali.

Probabilmente è giunto il momento di coordinare le strategie mediche con quelle economiche perché tra il morire di stenti e fame o di Coronavirus poco cambia. Forse la seconda ipotesi è preferibile anche perché andrebbe a coinvolgere una platea infinitamente minore di soggetti, per non parlare dello scenario sociale imprevedibile e difficilmente governabile contro cui ci schianteremmo. Ciò non vuol dire lasciare a loro stessi i nostri concittadini più fragili, anzi, significa, piuttosto, adottare, un approccio ancor più protettivo sin tanto che la pandemia non verrà domata, senza fermare il Paese che deve continuare a produrre il necessario a far fronte all’emergenza.

Concludendo, visto che non è possibile ipotizzare una data di fine alla pandemia, che non è pensabile un’uscita dall’emergenza nel giro di qualche mese, che l’Italia - al pari di tutti o molti Paesi - non ha la forza finanziaria per sostenere i costi di un blocco per mesi e mesi dell’economia, che la crisi economica e sociale avrebbe effetti di gran lunga peggiori di quelli sanitari determinati dall’epidemia, è forse venuto il momento di rivedere le strategie di approccio affidandosi non più ai soli medici i quali, ovviamente, si devono occupare della salute immediata e non delle conseguenze imminenti. La priorità del medico è la salute in senso stretto dei cittadini, quella di chi governa deve essere la salvezza di una comunità. La maggior parte degli italiani non hanno tutele ovvero le hanno in misura insufficiente e chi oggi ha la fortuna di averle potrebbe presto perderle se il sistema si inceppa. Prestiamo, dunque, molta attenzione.

Ripeto, questa mia osservazione non è una presa di posizione ma vuole solo offrire uno spunto di riflessione a chi la leggerà.

Da Sindaco, continuerò ad attenermi rigorosamente al rispetto delle indicazioni impartite dal governo e continuerò a chiedere ai miei concittadini di fare altrettanto nella speranza che la strada tracciata sia quella corretta.

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